Ma sei mongoloide ?


sindrome di down

sindrome di down

Scena :Assolato giardino pubblico urbano in un afoso pomeriggio di mezza estate.
Seduto sulla solita panchina, all’ombra di un imponente pino marittimo osservo mio figlio, che incurante della temperatura tropicale e del sole africano , corre spensierato insieme all’ orda vociante di coetanei.
Ad un tratto, una mamma graziosamente tatuata, abbandonando temporaneamente lo smartphone fino a poco prima compulsivamente manipolato, chiama la sua bambina per la merenda, e come si usa oggi, le consegna patatine ed Estathe.
La piccola, ancora su di giri per le attività ludiche appena interrotte, apre frettolosamente il sacchetto di Wackos il quale, dilaniandosi, lascia cadere a terra il salatissimo contenuto.
La genitrice 2.0, che nel frattempo ha ripreso la frenetica digitazione, sfoggiando unghie leopardate, salta su tutte le furie e scomponendo la posa da diva in incognito , strilla stizzita: ” ma sei mongoloide?

Mongoloide è un termine che definisce una tipologia umana asiatica

Alla tipologia umana mongoloide, pur con le sue variabilità, afferisce la quasi totalità della popolazione asiatica orientale e amerinda precolombiana. Prende il nome dal popolo dei mongoli, spesso in passato considerati i rappresentanti più genuini di questa morfologia.

FONTE WIKIPEDIA

Un tempo questa parola veniva erroneamente utilizzata per identificare le persone affette da sindrome di Down e malgrado la scienza abbia abbandonato questo aggettivo, molte persone lo utilizzano come spregiativo per evidenziare ironicamente la scarsa abilità manuale o mentale di qualcuno.

Questo é il messaggio che trasmettiamo alle nuove generazioni.
In una società in cui l’edonismo parossistico impone standard di bellezza ossessivi, dove il valore dell’individuo é misurato non più sull’essere ma sull’avere, a colpi di smalto, smartphone e tatuaggi, chi sbaglia viene classificato come errore di fabbrica, prototipo mal riuscito, pezzo prodotto in serie fallato.

A prescindere dalla sfuriata sovradimensionata per un così piccolo incidente, che evidenzia senza dubbio ataviche tensioni nervose, dovute a chissà quanti e quali problemi esistenziali irrisolti, sentir definire gratuitamente un bambino handicappato, per giunta nella forma spregiativa, è doloroso, in particolare per chi come me, ha dedicato parte della sua vita a supporto delle persone definite “diverse”.