Alluvione di Genova tornano gli Angeli del fango


Alluvione di Genova Angeli del fango

Alluvione di Genova Angeli del fango

Giovedì sera alle 19:00, mentre attendevo l’autobus in Via Canevari per tornare a casa, ho provato per alcuni minuti quella sottile angoscia che, dopo il 4 novembre 2011 assale noi genovesi, quando nell’aria sentiamo l’indefinibile odore di imminente catastrofe.

Il destino ha voluto che poche ore dopo, in quel preciso punto di marciapiede, un uomo perdesse la vita sommerso dalle acque che ancora una volta hanno distrutto la nostra amata città, colpendo nuovamente la Val Bisagno, terra che mi ha adottato da oltre tredici anni, per certi aspetti identica alla Val Polcevera che mi diede i natali.

Non ho assolutamente intenzione di entrare nel merito di quanto accaduto, trasformandomi in meteorologo, tuttologo, giudice armato di giustizialismo da 160 caratteri; lo hanno fatto tante, forse troppe persone in queste ore sui Social Network, e penso che in questi momenti sarebbe proficuo dedicare le energie esclusivamente alla ricostruzione, posticipando di qualche giorno le doverose indagini sulle eventuali responsabilità.

Sono rintanato a casa da due giorni, la macchina è salva e tranne pochi minuti di black out non ho subito alcun danno, quindi non posso far altro che ringraziare l’esistenza per la Fortuna che anche in questa occasione mi ha nuovamente baciato.

La salute non mi permette di armarmi di pala, e ciò mi fa sentire ancora più impotente durante questi giorni in cui la Superba nuovamente affoga.
Ho deciso di dedicare questo post a quell’esercito di anonimi ragazzi, senza un passato, che forse non abbiamo avuto il tempo di raccontar loro, troppo presi come eravamo a rubargli il futuro lavorando come pazzi progettando cattedrali nel deserto, che probabilmente non vedranno mai realizzate.

Sono quelli che qualcuno chiama “bamboccioni” perchè rimangono in famiglia dopo gli studi, come se non trovar lavoro in una nazione che non ha ancora capito come convertire un’economia defunta e sepolta,  fosse una deliberata scelta.
Li giudichiamo perchè trascorrono ore su Facebook, fino a quando attraverso i loro post non scopriamo che hanno un cervello, un cuore e un anima molto più nobili di chi gli punta il dito contro.

Tacciati di pressapochismo, bullismo, narcisismo, edonismo, esibizionismo, alcolismo e tutti gli altri ismi che gli illuminati studiosi contemporanei hanno coniato, per etichettare intere generazioni, mondandosi così le mani dalle reali cause che possono aver scatenato il malessere generale che affligge le nuove generazioni, sembrano vivere su un pianeta parallelo, eppure sono i nostri figli.

Nonostante questa distanza abissale che si è venuta a creare tra generazioni in fondo non troppo lontane, figlia del crollo dei valori che ha infangato gli ultimi vent’anni del costume ormai basato sull’arrivismo, ancora una volta, silenziosamente, i “bamboccioni” sono scesi in campo, e in queste ore stanno spalando fango, e camallando cuffe, lasciando “ai grandi” l’ambizioso onere di individuare quanto prima il colpevole di quanto accaduto e chiederne le dimissioni, l’arresto e se possibile la fucilazione in piazza.

Ho un figlio di diciassette anni che non conosce la politica locale ed i suoi meccanismi, non ha visto Genova prima della cementificazione selvaggia, e che spera soltanto di trovare un lavoro finita la scuola, senza trovarsi costretto a fuggire all’estero.

Malgrado le incertezze che talvolta lo rendono vulnerabile come un bimbo, da due giorni rientra a casa solo per dormire, visto che a pranzo si accontenta di quello che gli offrono le anziane signore aiutate a recuperare bottiglie d’olio e vecchie foto dalle cantine allagate, senza curarsi delle polemiche “dei grandi” che ripetono ossessivamente che “dovrebbe pensarci il Comune”

Voglio concludere questo viscerale sproloquio  riportando lo stato Facebook dell’amico Giorgio Ravera dal cui profilo ho rubato anche l’immagine di questo post.

In strada la vita è molto diversa da Facebook. Lì non c’è tutto il vociare contro, i processi, il commento qualunquista dei tuttologi, c’è un irreale ed operoso silenzio interrotto solo dal rumore delle pale e dei passi pesanti sul fango. In strada persone vere che non stanno come tanti di noi a farsi belli sui social, non ci sono grandi organizzatori ma gente che lavora davvero. Sullo sfondo una città ferita come in guerra, arrabbiata, dolorante, che trattiene le lacrime forte del suo orgoglio, consapevole che ancora una volta, da sola si metterà in piedi. Di fronte tanti giovani che danno l’esempio: esserci per dare una mano, non per prendere un “mi piace” per aver fatto ciascuno la propria parte